Adesso conta e canta gli anni, venti
e venti, enumera i giorni di sole
e di sale, poi chiedi dove porta
l’intransigenza, se non dentro al cantico
di solitudine. Chi come te
mi cerca non mi avrà se non in pianto.
E in ogni pena il mio vessillo pianto:
tu mi appartieni e lo stile che inventi
legherà i volti le ombre le comete
al mio nome segreto, o mute e sole
rimarranno le preghiere che canti con
vergogna, a sera, socchiusa la porta.
È vano il tuo talento, non importa
lo stile, nuovo tormento, ma il pianto
con cui mi adorerai inventando un Cantico
dei Cantici da sussurrare ai venti,
cosicché a giorno accompagnino il sole,
muovano a festa a notte le comete.
Quando saranno spente le comete
in silenzio verrò sulla tua porta,
disferò i ritmi, ruberò le sole
poesie belle, fiorite dal pianto
della pervinca, disperderò ai venti
i versi vaneggianti del tuo cantico.
Perché crudele è il mio impero e il mio cantico
è intraducibile: se le comete
neanche un attimo indugiano sui venti
che quando soffiano sulla tua porta
ti parlano di me e asciugano il pianto
come al mattino su uno stelo il sole,
è per la morte che fa belle e sole
le rime impronunciate del mio cantico,
le rose profumate che ora pianto
dentro la solitudine, comete
brillanti al buio. Ecco dove porta
l’intransigenza cieca come i venti.
Sobilli pure il sole tutti i venti:
questa porta sigillerà ogni pianto
che tenti come te l’antico cantico.
Andrea Temporelli
(Sylvie Bessou photography)